Unità nel Contrasto

La sveglia suona alle cinque meno un quarto. Mi stiracchio, e poi seppellisco la testa nel cuscino, ma realizzo di non avere nemmeno il tempo di un pisolino di nove minuti. Dian dorme ancora; è tornata presto questa mattina, dopo aver partecipato ad una riunione della sept, e comunque non è mai stata una persona mattiniera. Quando le bacio la guancia, fa una smorfia assonnata e poi si tira il cuscino sopra la testa. Con un ghigno stanco, tiro fuori i piedi dalle coperte e li appoggio sul freddo pavimento di legno.
Faccio una doccia veloce, mi metto i miei stracci, e arraffo alcune uova sode per fare colazione in viaggio. L'intera caffettiera finisce nel thermos - ho più di 150 chilometri da fare questa mattina, prima delle otto, ora a cui la clinica apre. Ancora alcuni istanti, per riempire nuovamente la caffettiera elettrica - qualcosa mi dice che anche Dian ne avrà bisogno - e poi salto al volante del camion.


Quando mi sveglio, il sole è alto nel cielo, gli uccellini cantano, e Helena se ne è andata da un pezzo. Non sono nemmeno sicura dell'orario a cui se ne è andata - il suo lato del letto è freddo, e il giorno sta già iniziando a scaldarsi. Sono le 9:43. Quasi sei ore di sonno. Non male. Forse avrei dovuto alzarmi prima. Ho degli affari che mi aspettano alla sept.
La caffettiera che Helena mi ha gentilmente lasciato si è asciugata fino a cinque tazzine. Andrà bene, per cominciare. Mi lavo la faccia nel lavandino della cucina - non ha senso fare la doccia, visto che mi dovrò sporcare un sacco anche oggi.
Afferro lo zaino dall'armadio, e inizio a prepararlo. Il mio "kit del pronto soccorso" andrà lì - aghi con filo di seta per tenere assieme le ferite più gravi, e mussola sbiancata per legare il resto. La mia torcia elettrica a nove volt, dopo aver controllato la batteria - da quando Helena ha risvegliato lo spirito che risiere al cuo interno, consuma il doppio di prima. Helena dice che si accende da sola perchè non le piace il buio, e che se non la lasciassi nell'armadio sarebbe più contenta. Il pranzo. In fine, torno in camera e apro il baule ai piedi del letto, estraendo con riverenza il mio labrys, con le sue fasciature di cuoio e lana. Chiedo perdono allo spirito del labrys per l'oltraggio che subirà nell'essere trasportato a testa in giù in uno zaino, promettendogli che oggi verrà usato - e possibilmente per una battaglia. Quindi mi metto lo zaino sulle spalle, e mi avvio lungo la strada.


E' stato un giorno normale alla clinica. Sto qui solo per tre giorni ogni due mesi. Ufficialmente, sono qui solo per tenere sotto controllo la salute generale della popolazione, per fornire i servizi sanitari più basilari; i casi gravi o urgenti devono essere rediretti ai dottori dell'ospedale della contea, ai loro uffici freddi e sterili pieni di blocchi per le ricette e le prescrizioni. Ufficiosamente, sussurro preghiere per aiutare la guarigione di ossa ricomposte alla bell'e meglio, oppure fornisco potenti rimedi a base di erbe per tossi insistenti. La mia carnagione mediterranea ha fatto nascere delle voci secondo cui sarei l'ultima discendente di una lunga famiglia di "medicine woman" indiane. Non mi sono preoccupati di mettere in chiaro le cose - è un concetto con cui sono famliari e con cui si sentono a proprio agio, e per la mia coscenza è abbastanza vicino alla verità.
I controlli di routine lasciano velocemente il posto a semi-crisi. Un minuto sto giocando con un bimbo di sei mesi per controllarne i riflessi, e il minuto dopo sono faccia a faccia col piede cancrenoso di un diabetico, Mr. Tucker. Lo pulisco meglio che posso, ma avrebbe dovuto venire trattato un mese prima. Potrei prendermi cura di questa ferita con fuoco, lame e canti, ma il vecchio Mr. Tucker non guarirebbe come farebbero le mie sorelle. E' necessario che un chirurgo rimuova la carne morta. E' tutto ciò che posso fare per rimuovere i veleni dal suo sangue e fargli promettere di andare al più vicino Pronto Soccorso a cinquanta miglia da qui, il prima possibile. Un'altro paziente aziano fornisce un test di natura diversa: Eliza Croft, nonna e bisnonna di molti, viene da me con un preoccupante tremito al petto. Sa di essere malata, ma non vuole lasciare casa sua per andare in ospedale. Capisco i suoi desideri - come non potrei? E tradizione della nostra gente scegliere una morte dignitosa al momento giusto. Ma sotto questa malattia vedo una vivace donna anziana con molti anni da vivere se riesce a superare questo, e alla sua grande famiglia mancherebbero dolorosamente la sua saggezza e la sua esperienza. Spiego questi fatti a Mrs. Croft e alla sua nipote dall'occhio lucido, con franchezza e rispetto - niente di meno di ciò che si è guadagnata. E' una decisione che dovrà prendere da sola.
La mattina agitata sfuma in una nebbia di rabbia, quando vado a vedere il primo paziente del pomeriggio. Una madre è qui coi suoi due figli, di uno e quattro anni rispettivamente. Ho visto questa scena molte volte prima, e i segni sono così ovvi, come se ogni cicatrice ed ogni contusione fosse stata evidenziata con un pennarello. Bruciatura da sigaretta, qui. Vecchio ematoma per una forte stretta, lì. La faccia del figlio più grande è arrossata, i capillari che si estendono come un ragno sulla sua guancia, rotti da una serie infinita di schiaffi. Gli occhi di entrambi - anche quello che sta in braccio! - hanno quell'aspetto spiritato e spaventato così dolorosamente tipico delle vittime di un abuso.
Procedo con un completo esame di entrambi i bambini, registrando nella mia mente ogni bruciatura, ogni livido, ogni cicatrice, come un'altro motivo per inserire il criminale che li ha fatti nel mio libro nero. Ho bisogno il tempo per trasformare il mio iniziale motto d'ira, nella risouluzione adamantina che necessito per fare il mio lavoro.
"Lì ha portati per un chekup generale," le chiedo, "o ha notato qualche malattia o ferita specifica?"
La madre non riesce a guardarmi negli occhi. "La femmina piange troppo. E non riesce a tenere su la testa molto bene." Entrambi i bambini sono malnutriti, e la piccola femmina è anche disidratata. Mi meraviglio che abbia trovato la forza di continuare a piangere.
Le pongo la successiva domanda necessaria. "Loro padre è qui? O è a casa?"
Lei scuote la testa, continuando a guardare il pavimento. "Non lo vedo da mesi. Ci ha lasiciati." Era la risposta che temevo di sentire. So che è una cecità da parte mia, ma queste situazioni sono molto più facili quando c'è un maschio da incolpare.
Le restituisco la bimba, notando la riluttanza con cui questa torna nelle braccia della madre. Prendo la scheda della famiglia. Montgomery, Alice; Chad e Alyssa. Il nome è familiare. Scorro un po' di documenti, e intravedo il mio nome. Ho partecipato al secondo parto di Alice Montgomery, ho preso il suo infante mentre questo veniva al mondo. Adesso la mia responsabilità è cementata; ho il sangue dell'utero di questa donna sulle mie mani.
Metto giù la cartella e guardo la donna. Ora riconosco il suo volto, ma è cambiata, così terribilmente dalla donna giosa nelle cui braccia misi una piccola neonata. Come la baimba nelle sue braccia, come il bambino seduto sulla sedia di plastica al suo fianco, lei è pallida ed esausta. Addolorata.
Afferrando la cartella, mi dirigo verso la porta. La mia receptionist per le visite, Carol, è seduta proprio fuori ad un tavolo pieghevole. Le chiedo di tenere d'occhio i bambini - e di portar loro una merendina, per l'amor di Dio - mentre parlo con la loro madre privatamente. Per un attimo sembra che Alice Montgomery voglia protestare, ma non lo fa. La porto nella stanza di cui mi sono appropriata, il mio ufficio, e chiudo la porta.


Mezza mattina se ne è già andata nel momento in cui arrivo alla bawn. Il gruppo che mi sta aspettando probabilmente è stato lì da abbastanza tempo da diventare irritabile - bene. Nemmeno a me piace molto l'idea di fare da babysitter. Non mi ci vuole molto per trovare le mie tre vittime, che stanno sedute, in peidi o passeggiano vicino al punto in cui dovevamo trovarci, messi come in uno strano triangolo, visto che nessuno di loro vuole avvicinarsi agli altri due. Mi butto a terra e inizio a slacciarmi gli stivali da roccia.
"Il mio nome è Dian Axebeare. Per oggi, visto che stiamo diventando amici, potete chiamarmi Dian, o Axebearer." Ora che ho la loro attenzione, incrocio le gambe mettendo i piedi nudi sotto le gambe, mettendomi comoda. "Rispondo anche se mi chiamate 'puttana,' ma se ottenete la mia attenzione in questa maniera spero per voi che abbiate qualcosa di veramente importante da dirmi." Nessuno di loro lo trova divertente, viste le circostanze.
Sono tutti Cliath, ancora bagnati dietro le orecchie da quando se le sono inzuppate nel Rito di Passaggio. E tutti e tre si sono messi nei guai. Lo sciatto ragazzo homid con il cappellino da baseball è Daniel. E' stato sorpreso a bere mentre era in servizio col branco dei Guardiani. La ragazza, Raychel, è sgattaiolata in paese contro gli ordini del Difensore. Lei è metis, e anche quando è in forma umana smebra che qualcuno le abbia tirato una travata sulle labbra e sul naso, e la sept non vuole attirare l'attenzione indensiderata dai servizi sociali. L'ultimo del gruppo, il ferale le cui labbra sembrano congelate a metà di un ringhio, è Sharp Bite. E' semplicemente un rompipalle multifunzione. Mostro un largo sorriso a tutti e tre. Se gli anziani pensano che assegnarmi questi ragazzetti può migliorare le loro maniere o la loro tendenza a pensare col culo, allora io stessa non devo aver rotto le palle abbastanza, ultimamente. Ma forse posso lavorare sulla loro disciplina.
"Voi siete qui perchè il Difensore vi ha detto di venire qui, giusto?" Tre cenni di assenso, a vari livelli. "Vi ha detto nient'altro?" Tutti e tre scuotono il capo, e nessuno con molto entusiasmo. "Come immaginavo. Ascoltate, e ascoltate bene. Andiamo a caccia." Questo ottiene la loro attenzione.
"Forse vi ricorderete che poche notti fa è passato un branco errante. Hanno detto di aver visto una grande bestia del Wyrm nell'Umbra del nostro protettorato, ma che è sfuggita loro quando hanno tentato di seguirla." Adesso sono curiosi, e confusi. Dovrebbero esserlo. "Alcuni branchi sono andati a cercarla, ma non hanno trovato niente. Il Difensore è convinto che non ci sia proprio niente da trovare."
Mi alzo, continuando i preparativi spogliandomi fino alla pelle, rilegando solo la mia veste, per avere le braccia libere. Il ragazzo homid arrossisce e distoglie lo sguardo; non risco a trattenere un sorriso maligno. "Come vi sarà sicuramente stato detto, i branchi sono importanti, e hanno cose importanti da fare. Voi no. E io nemmeno, apparentemente. Quindi verrente con me per un ultimo tentativo, a cercare questa cosa."
La ragazza si sposta nervosamente. "Ma non sarà un po' pericoloso?"
"Ovvio," replico felicemente. "Avete quindici minuto per prendere le vostre cose. E non speriate che gli anziani della vostra tribù possano liberarvi da questa cosa. Siete stati assegnati a me la notte scorsa."
Il ragazzo, Daniell, alza una mano e fa una domanda. Ancora non riesce a guardare il mio petto. "Cosa facciamo se lo troviamo veramente?"
"Sharpbite ringhia una risposta prima di me. "Lo uccidiamo!" girandosi verso il suo compagno-di-branco-per-un-giorno. "Hai paura, scimmia?"
Mi accovaccio e tiro fuori la mia ascia dallo zaino, lasciando che il tessuto rosso sangue cada dalle lame d'argento dell'ascia. Il ragazzo fa un passo indietro involontariamente - riescono a parcepire la minacccia del potere, non inteso per le loro mani. Forse non sono tanto stupidi quando pensavo. "Ha ragione. Lo uccideremo. Sharpbite, visto che hai così tanta voglia di mostra a tutti le tue palle, sarai lo scout. Muovetevi, tutti e tre."


La stanza è piccola, buia e un po' umida. Alcuni armadietti, uno specchio offuscato ed un lavandino sono gli unici indizi che permettono di capire che una volta si trattava di uno spogliatoio, ma gli armadietti ora sono pieni di scatole e faldoni di documenti. Indico ad Alice una sedia di plastica con un minimo di imbottitura e prendo uno sgabello, dando la schiena alla porta. Le mie cose sono tutte qui, con moduli e orari stesi su una corta panca usata come tavolo improvvisato. Mormoro alcune scuse per il disordine mentre raccolgo le mie carte, coprendo la mia distrazione mentre mi concentro su qualcosa d'altro, oltre. Lo trovo, quel pizzicore della malvagità che non manca mai di infondermi un brivido per tutta la spina dorsale. Il Wyrm ha toccato questa donna in qualche modo.
Mi raddrizzo, e la guardo direttamente. "I suoi figli non sono in buona salute, Ms. Montgomery. E sono stati feriti. Deve dirmi cosa sta succedendo." Incrocia il mio sguardo per un attimo, poi si acciglia tirandosi indietro sulla sedia, con gli occhi che fissano nient'altro se non l'aria. La sua bocca si muove senza emettere alcun suono. Focalizzando i miei sensi ancora più acutamente, sposto la mia attenzione sullo specchio alle spalle di Alice. Il Guanto si divide all'interno della cornice dello specchio, e la luce della falce di luna si piega verso di me per far galleggiare l'immagine della donna dove prima c'era il vetro argentato.
C'è una guerra che si svolge di fronte a me. Un viticcio serpentino di violenza e sangue si allunga dall'Ombra per avvolgere l'anima di Alice Montgomery, ancorata da un malevolo barbiglio; strattona il suo cuore e le sue interiora, mandando scariche di paura e rabbia attraverso il suo essere. Vuole che lei scappi da me, dalle splendenti luci che brillando sui suoi figli feriti, vuole che lei torni nell'oscurità dove potrà svuotarla dall'interno. Lo spirito di Alice combatte, prendendo forza dal bagliore gentile dell'amore materno; si aggrappa alla sudicia sedia in questa stanza squallida come se ciò fosse l'unica cosa che può conservare la sua vita, e spera di trovare una speranza prima che sia troppo tardi. Io sono la sua speranza.
Non voglio altro che nuotare attraverso quello specchio, sentire il mio corpo esplodere assumendo la forma della vendetta stessa, per squartare quella influenza malvagia dalla sua anima. Ma non posso, non qui, non adesso. Ci sono dei bambini qui, e gli infermi, che sarebbero a rischio se la battaglia scivolasse in questo mondo e attraverso la porta di legno. E non so cosa potrei provocare alla donna semplicemente strappando quel bargiglio. Devo usare la strada più dura. Lei deve.


La luce della luna è fioca ma adeguata mentre ci dirigiamo attraverso l'Ombra al luogo dove il Wyrmling è stato visto per l'ultima volta. A quel punto la nostra caccia ha inizio. Controlliamo sotto ogni foglia e pietra dell'Umbra, cercando segni di contaminazione e avvizzimento. La ragazza metis, Raychel, è sensibile, come speravo, e i sensi del ferale sono acuti. Il giovane Danile e diligente, anche se terrorizzato.
So che c'è qualcosa qui fuori. Il branco che era passato era fatto da Freebooters - le mie sorelle. Se dissero di aver visto qualcosa, vuol dire che avevano visto qualcosa. Non è semplice convincere il Difensore; non accetta facilmente consigli da qualcuno che considera charach, e ricopre il tutto con stronzate riguardo alle donne Ahroun. Io gli ho dato del misogino. Lui mi ha dato dell'intransigente. Io ho dovuto cercare la parola - non ho mai finito le scuole superiori. Lui ha ragione, io pure. Spero solo che la sua intransigenza non faccia uccidere uno di questi ragazzi.
Mentre il tramonto della luna si avvicina, scopriamo dei segni del Wyrm - chiazze di bile nera punteggiano il terreno. Non ci sono altri siriti in vista, e l'aria sembra così spessa da attutire i suoni. Sueguiamo le tracce senza difficoltà - deve essere grosso, e molto vicino al terreno. Raychel lo scorge per prima, mentre quello sta appostato nel riflesso diroccato di un antico capannone. E' grando, ok, circa come un autobus. Non ha nè braccia nè gambe, e nemmeno una testa per quel che vedo, solo un disgustoso corpo che sembra una vescica, che pulsa di nero e viola e rosso come una ferita fresca. Dozzine di fruste nere dall'aspetto perfido si estendono dalla sua forma, alcune sottili e stese in distanza, altre fluttuanti come calabroni furiosi con pungiglioni simili a punte di freccia. Non penso ci abbia visti, ma non posso esserne sicura viso che non riesco a vedere i suoi occhi.
Mi tiro indietro, facendo cenno agli altri di seguirmi. Con le mie sorelle al mio fianco, potremmo semplicemente gettarci su questo mostro obeso e farlo a pezzi. Con questi ragazzetti a cui badare, è necessario qualche piano un po' più astuto. Daniel e Raychel si tirano indietro, e gli unici suoni sono gli schiocchi e i fruscii delle ossa che si muovono e si saldano mentre i due raggiungono la forma Crinos, pronti per la battaglia. Guardo indietro - Sharpbite non si è mosso, ha tutti i sensi fissati al mesmerizzante ondulio di quei tantacoli malvagi. Gli faccio pss per attirare la sua attenzione. Quando si gira indietro nella luce morente, posso vedere i suoi occhi iniettati di sangue. Poi sparisce, sta correndo verso la creature il più velocemente possibile. Per lo meno ha la decenza di trattenere il suo ululato furioso fino al momento in cui è quasi giunto sopra al Flagello.
Non ho scelta. "Seguitemi!" abbaio agli altri due che stanno alle mie calcagna, e corro giù per unirmi alla lotta.


Inizio i preparativi lentamente, il più furtivamente possibile per evitare di attrarre l'attenzione della creature del Wyrm. Verso il caffè restante dal thermos al suo coperchio, e lo offro ad Alice. Non è un calice, ma il simbolismo della forma è più importante della mancanza di decorazioni, e il suo calore può aiutare a combattere il tocco gelido del viticcio. Dalle tasche laterali della mia borsa estraggo nove candele - tre bianche per la Vergine, tre verdi per la Madre, e tre nere per la Vecchia - e inizio a posizionarle in cerchio attorno ad Alice, mentre sussurro invocazioni. Nello specchio, vedo lo specchio avvizzire per il disagio; può percepire, in qualche maniera, l'opposizione crescente. Prego di riuscire a non incendiare la stanza.
Le candele, le cui fiamme bruciano dritte e ardenti in responso alle mie richieste, creano un caldo santuario al centro della stanza, allontanando le tenebre. Confidando che il sistema antincendio dell'edificio sia antico quanto il resto della struttura, accendo un mucchietto d'incenso e lo muovo per stanza attorno al circolo, dopodiche lo poso ai piedi di Alice. Questo è il massimo che posso fare per qui e ora. Dovrà bastare.


Grazie alla partenza anticipata e alle quattro zampe, Sharpbite raggiunge il Flagello molto prima di noi altri. Gli si abbatte contro con tutta la forza della sua carica in forma Hispo e immediatamente inizia a strappare grandi brani di carne che tremano come gelatine di sangue quando cadono a terra. Il Flagello non sanguina e non trema dal dolore - l'unico indizio che la creatura noti i pezzi mancanti è il suo immediato contrattacco. Sharpbite viene velocemente assaltato da più di una dozzina di fruste uncinate, ma è presto chiaro che la punta affilata non costituisce l'unico problema. Le fruste strappano il pelo con il primo colpo, la pelle esposta col secondo. Se ci fosse tempo sufficiente, forse riuscirebbero a lasciare solo le ossa.
Siamo quasi arrivati. In pochi secondi, sarò in grado di tagliare le fruste che impegnano lo stupido ferale, così potremo riprovare daccapo. Pochi secondi non sono sufficienti. Vedo il colpo inferto - un uncinto issato alto nell'aria, che scatta fulmineo verso il basso come l'affondo di un cobra. L'uncino trafigge Sharpbite esattamente tra le scapole e continua a scendere mentre la nerezza avvolge la sua testa ed il suo collo. Con un ululato di puro panico, Sharpbite si gira e fugge dalla lotta, seminando nerezza dietro di sè.


Entro nel circolo, mi siedo ai piedi della donna, e poso le mie mani sulle sue, che sono sulla tazza. Il suo corpo ha uno spasmo mentre la nerezza strisciante le ordina di allontanarsi dal mio tocco, ma le sue mani rimangono salde nelle mie. Lentamente alza gli occhi dalla tazza, incrociando il mio sguardo. Ora posso vedere l'oscurità estranea dietro i suoi occhi, mentre questa si raccoglie per combattere. Tento di immobilizzarla con il mio sguardo, ma è troppo scivolosa.
"Dimmi dei tuoi figli." Il mio tono è gentile ma esigente. Lei si tira indietro, il diniego le inonda il viso e si raccoglie nella sua bocca. "No!" le comando. Non quello. Ci sarà tempo dopo per le ammissioni di colpevolezza e di vergogna. "Parlami dei tuoi figli. Dimmi perchè li ami."


Ci uniamo alla battaglia, e abbiamo già perso un guerriero. Il corpo della cosa è senza armatura e molle, e piuttosto divertente da squarciare, ma i continui attacchi delle fruste ne tolgono la gioia. Paro gli attacchi roteando l'ascia e squarcio il Wyrmling con artigli e denti, ma i ragazzi, disarmati, non sono così fortunati. La carne delle mani è stata messa a nudo dagli attacchi che hanno bloccato, e tutte le altre parti del loro corpo stanno sanguinando a causa degli attacchi che non sono riusciti a bloccare. Questa cosa non sanguina, non soffre nemmeno un po' per i danni che le abbiamo inferto. Ci dev'essere un punto vitale da qualche parte.


Ogni parole è una lotta per lei, mentre va a caccia delle emozioni che le sono state strappate e sepolte sotto un mucchio di escrementi spirituali. "Chad. Segue i grilli nel cortile. Non ne ha mai presa una." Passano secondi, forse minuti. "Dorme… quando dorme, mette entrambe le braccia sopra la testa. Come le ali di un angelo."
"E tua figlia?" la incito. Nello specchio dietro Alice, vedo l'appendice frustare avanti e indietro, tentando di soffocare le memorie che stanno iniziando ad emergere attraverso le crepe. Non ci riesce; Alice trova altro. "Alyssa… spesso quando l'allattavo allungava una mano e mi dava un buffetto sulla guancia. Ha i riccioli - piccolo ricci di capelli che le fanno il solletico dentro le orecchie.


Questa lotta non sta andando bene. Ho detto a entrambi i Cliath di stare al mio fianco. Con una formazione a cuneo potremmo aprirci una strada all'interno di questo Wyrmling, ognuno difeso dagli altri, finchè non riuscissimo a trovare un punto vitale da strappargli. Ma le uniche tattiche che questi cuccioli conoscono sono le più basilari e istintive manovre di branco - attaccare i fianchi e il retro. Beh, questa cosa non ha nè fianchi nè retro da mordere, e per di più li sta furbamente spingendo ad allontanarsi da me usando attacchi e punture. Non avrò tempo di raggiungerli entrambi. Maledicendo, scelgo di continuare a dirigermi all'interno di questa cosa, per trovare il suo cuore e strapparglielo prima che risca a uccidere uno di loro - prima che ci uccida tutti.


Il tempo passa. Non posso dire quanto sia passato, ma tutto ciò che posso fare è provvedere al comfort della presenza di un altra donna finchè Alice reclama i suoi bambini,, ricostruendo un immagine di loro nella sua mente dai pezzi che riesce a rubare dal Bane. Con ogni memoria sussurrata che aggiunge, la cosa diventa visibilmente più debole, nebbiosa, ma i suoi colori pulsanti continuano a portare la promessa di violenza. Infine, la cosa trema e crolla vagamente intorno al sempre crescente splendore dello spirito della donna, ancora ancorato dalla sua coda spinosa.


C'è un improvvisa interruzione nello sbarramento di frustate e spine traffitte, come se il Bane avesse perso il gusto di questo scontro. Non riesco a immaginarne il motivo - è riuscito a metterci bene alle strette. Scostando il sangue dai miei occhi, cerco di scovare i bambini che ho trascinato in questa battaglia. Daniel è stato trafitto e trascinato nell'oscurità. Si sta agitanto, così soverchiato dal terrore che i suoi colpi si perdono nell'aria vuota mentre cerca di segare via la sua stessa carne. Ha preso anche Raychel, ma lei è atterrata, incurante delle spine che le strappano la pelle. I tentacoli che li perforano si contorcono in putridi colori, e finalmente riesco a capire - questa bestia manipola le emozioni. Non vedrei questi bambini morire senza uno scontro. Ma la luna crescente, ora quasi scomparsa, mi rende quasi impossibile bloccare la Furia di cui ho bisogno. Maledicendo il nemico di Gaia - maledizione buona quanto una preghiera in questo campo di battaglia - colpisco e incido la bestia di nuovo finchè ne ho la possibilità.


"Ascoltami, Alice." La trascino fuori dal suo sogno ad occhi aperti. Deve far finire tutto questo ora, prima che la creatura recuperi la sua forza. "Ti ricordi quando è nata Alyssa? Il dolore, lo spingere?" Annuisce, più forte ora, ma spaventata dalla mia domanda. "Questo farà molto più male di un parto, Alice, perchè ciò che è dentro di te ora è qualcosa che non dovrebbe esserci. Ma puoi farcela, sei forte abbastanza. Spingilo fuori, Alice."
Su un qualche livello, mi ha capita. La stessa parte di lei che ha percepito l'errore e ha cercato aiuto prende il comando e lotta contro la spina nella sua anima. Con un ultima tremenda spinta e un pianto vittorioso, Alice costringe la spina ad uscire. Mentre guardo nello specchio, il viticcio frusta di nuovo cadendo nell'oscurità, richiamato da quello stesso male che l'aveva generato. Tutto quello che rimane ora è Alice, sanguinante e distrutta. Rinata.


Improvvisamente, quella cosa rigonfia trova la volontà per riprendere a combattere. Qualcosa l'ha veramente fatto incazzare - la rabbia sorge letteralmente dalla bestia come spore da un fungo scalciato. Una pioggia di colpi da tutti i lati. Non ci sarebbe alcuna possibilità di ritirarsi con sicurezza, anche se volessi farlo. Con la coda dell'occhio, vedo la spina che arriva per trafiggermi e non per ferirmi; è l'incubo di ogni guerriero, il colpo che arriva, che sai che sta arrivando e che sai che non puoi bloccare per tempo. Ho appena abbastanza tempo per fantasticare cos'ha riservato per me questa bestia del Wyrm.
Poi l'ondata coplisce. E' sbalorditivo per un momento - un emozione che non avevo provato per così tanto tempo che ci vuole un istante per realizzare che cos'è. Sono indifesa. Questa cosa non conosce bene le Furie. La mia risposta non è la rassegnazione, ma la rabbia - pura Ira che trabocca per riempirmi con nuova forza. La mia ascia diventa viva nella mia mano, e combatto senza pensieri ma con una gioia fiera.


La tengo vicina mentre piange, le sue lacrime un insieme di sollievo e angoscia. Sa ciò che ha fatto. Le ferite a lei e ai suoi bambini richiederanno un lungo,lungo tempo per guarire. "Conosco un posto dove puoi andare, Alice. Persone che possono aiutare. Li non cercheranno di portarti via i tuoi bambini."
Lei vi andrà, lo so, e la mia gente può aiutarla di nuovo a imparare come essere una madre. Forse imparerà anche come condividere la sua forza con gli altri, e unirsi allo scontro. Lo spero. Sono stata fortunata a trovarla ora, prima che il danno fosse troppo profondo. Prima che i bambini fossero infettati da odio e violenza, con nessuna minaccia soprannaturale da combattere e portare sollievo. Fa sentire bene scontrarsi col nemico, e vincere.


Vengo nell'oscurità dell'Ombra dell'alba. Una luce scende qui vicino. Si avvicina sempre più, poi splende dritta nei miei occhi. Io la guardo male; la luce della mia torcia si indebolisce come per scusarsi. Raychel fluttua quasi a fianco a me, sembra niente più di una piaga che cammina. Ma almeno sta bene. C'è un peso faticoso su di me. Il peso della morte. Sorriderei, ma credo che le mie labbra non ci siano più. "Daniel?" le chiedo.
Lei indica. "Viva. Ma ferita gravemente."
La mia ascia è ancora nelle mie mani. Posso girarla a sufficienza per mutare la fine in qualcosa, poi scivola con infilzata l'annerita e gommosa carne che mi avviluppa. La passo a Raychel. "Tieni. Tagliami." Lei prende il cimelio con attenzione dalla parte avvolta nel cuoio. Non riesce a sorridere neanche lei, ma riesco a vedere il bagliore nei suoi occhi. "Fa sentire bene, vero?" Lei annuisce, e comincia a tagliare via con colpi sicuri.
Nel momento in cui Morsotagliente torna indietro furtivamente io sono già libera e ho avvolto Daniel come fosse una mummia. Le sue orecchie stanno indietro, la coda è bassa. Si aspetta un rimprovero, e la Dea sa che se lo merita tutto. "Sei scappato. Sai perchè è successo?" chiedo. Chiaramente non lo sa. "Ha smosso le emozioni, anche quelle più nascoste. Le emozioni umane. Il tipo di emozioni che tu insisti ad affermare di non avere. Cerca di abituarti alla tua forma a due gambe, e forse la prossima volta non scapperai via in quarta."
Si ritrae un attimo, poi si alza in Crinos e fa per prendere Daniel. I Fera prendono sempre così alla lettera. Contraggo il viso e mi alzo. "No, lascia che la prenda io. Sono stanca, e altrettanto Raychel. Contiamo su di te per trovarci una strada sicura verso casa." Lentamente si stringe di nuovo alla sua dimensione da lupo, ma la sua coda è tornata alta. Cominciamo a camminare inscespicando verso casa, sotto la luce della torcia.


Sono a casa che preparo la cena quando arriva un'auto. Sento i passi di Dian sulla veranda. Di solito è un brutto segno quando accetta un passaggio verso casa, e di sicuro, entrerà abbattuta. Sono al suo fianco in un istante, ma lei allontana le mie mani con uno schiaffo. "Sto bene," dice. "I guaritori alla setta riescono a bendarmi bene tanto quanto te, sai."
Appoggia gentilmente la sua ascia sul tavolo, lascia cadere la sua borsa sullo zaino, e torna fuori in veranda per togliere le bistecche dalla griglia. "Queste non sono neanche minimamente pronte," dico.
Lei sbuffa. "Come se fosse importante." A quel paese anche cucinare la cena.
Stiamo entrambe morendo di fame. Le bistecche sono scomparse cosi come una pagnotta di pan biscotto per fare scarpetta del sugo e del sangue della carne. "Non devi tornare al caern stanotte?" Dian scuote la testa. "Devo dormire. Devo svegliarmi presto anche domani mattina." Scivola giù dalla sedia e tiene la mano tesa verso di me. E' calda sotto le bende, come sempre, mentre saliamo le scale.


Lascio perdere e chiedo a Helena di dare un occhiata alle mie ferite prima di andare a dormire. Ho mentito, prima. Il suo tocco è molto più gentile e le sue mani molto più abili con un ago in mano di chiunque altro. "Come mi farò vedere senza neanche una cicatrice da battaglia?" ringhio io.
Lei ride. "Come mi faccio vedere io se tu ne hai?" comincia a canticchiare mentre mi fissa alcune fastidiose suture.
"Hai avuto una bella giornatina oggi, no?" chiedo.
Helena annuisce con un sorriso radioso. "In un certo senso, ho avuto uno scontro anche io. Vuoi che te ne racconti?"
"Mi piacerebbe molto," le rispondo, ma uno sbadiglio che non riesco a soffocare mi fa appoggiare alla sua spalla. "Puoi raccontarmelo domani?"
Lei allontana le coperte e cerca un punto della mia fronte senza ferite per darmi un bacio. Il sonno mi prende velocemente.